Una nota del GUS sulla tragica morte di Emmanuel, giovane nigeriano ospite della Comunità guidata da Don Vinicio Albanesi a Fermo.

 

Il mondo (migliore) che noi sogniamo, non ha spazio per aggressioni, fatte o subite, per il colore della pelle, per la fede religiosa, per le scelte sessuali o per le idee politiche.
Il mondo che noi vogliamo è fatto di dialogo e conoscenza, di incontri, di ponti e non di muri.
Il mondo in cui viviamo non ha isole felici, non ha comunità sempre accoglienti o sempre xenofobe.
Il mondo da cui era fuggito Emmanuel era odio, armi e morte. Il mondo che lo aveva accolto era amicizia, un amore e una famiglia nuova. In questo mondo, però, ha trovato la morte, la fine della sua giovane vita.
Desideriamo esprimere la nostra umana vicinanza e affetto nei confronti della sua compagna e di quella che era diventata la sua nuova famiglia di adozione, la Comunità guidata da Don Vinicio Albanesi. E desideriamo esprimere anche la nostra tristezza nel constatare che neanche nella tragica modalità della sua morte egli ha potuto aspirare ad una dimensione e riconoscimento di normalità. L’etichetta di profugo o richiedente asilo, come viene descritto, diventa un mesto vestito di cui non può disfarsi, usata da una parte e dall’altra ma non rispettato per il valore superiore ad ogni altro, quello di individuo e di giovane che sogna una vita e un futuro migliore, che non desiderava morire.
La nostra organizzazione auspica una continua e incessante ricerca delle “ragioni degli altri” e di un dialogo con tutte le comunità, quelle che accolgono e quelle che sono accolte. Nessuno dovrebbe tirarsi indietro nella costruzione di questo mondo nuovo.